#Sacrifici familiari
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A partire dal primo giugno del 2024, più di settemila persone con gravissima disabilità che vivono in Lombardia vedranno diminuire da 650 a 400 euro mensili l'assegno che ricevono come contributo per l’assistenza domiciliare. Mentre chi vive in una condizione di dipendenza vitale da macchinari (per esempio coma, stato vegetativo o tracheotomia) vedrà ridursi il contributo da 900 a 700 euro al mese. E voi direte, "ma come è mai possibile una cosa del genere? Voi all'opposizione, che ci state a fare? Non avete protestato, durante il dibattito sul bilancio?" Bene, cari. Sapete com'è andata? Che in quaranta ore di discussione fatte fino al 20 dicembre di questi tagli non si è parlato. Anzi hanno passato il tempo a dirci quanto fosse importante mantenere gli investimenti su categorie così fragili. E quindi? E quindi la Giunta Fontana, fra Natale e Capodanno, quando l'attenzione dei media è calata, vertiginosamente, si è ritrovata e all’unanimità ha partorito una delibera contenente questi tagli. Lontano dall'aula consigliare. Una porcata inaudita. Per la gravità dei tagli che entra sulla carne viva di tutti quei caregivers familiari che quotidianamente, tra mille sacrifici, si occupano di stare vicino alle persone con disabilità. Per la modalità. Quasi di nascosto. Quasi contando che nessuno se ne accorgesse, lontano dal luogo istituzionale dove rendere conto di una decisione del genere. In campagna elettorale, quanta gente mi disse "ma io non voto, tanto siete tutti uguali". Come no. Luca Paldini - Pagina, Facebook
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Un riassunto degli ultimi mesi (o forse dovrei dire anni)
Ancora deve finire l’estate ma già penso all’anno nuovo. Ormai sono entrata anche io nell’ottica che l’anno nuovo, vero e proprio, cominci a settembre. Credo che dovrò abituarmi a questo nuovo tipo di visione come ogni disperato che ha a che fare con la scuola nella sua vita. E così mentre compro la crema doposole per le ferie che ancora devo neanche iniziare, mi trovo a prendere anche l’agenda per i nuovi mini-babbani dell’anno 24/25. Comincerò a lavorare il giorno dopo il mio ultimo giorno di vacanze, scelta traumatica, non desiderata, ma obbligata. Gli anni scolastici iniziano sempre prima, l’anno scorso il 4, quest’anno il 2, ma che ca.
Ho molta paura pensando a quello a cui andrò incontro, l’anno scorso ero inesperta e mi buttai a capofitto in un’esperienza nuova, piena di entusiasmo. Entusiasmo che mi hanno smorzato subito, per carità, perché era un ambiente super tossico. Ma ormai esistono ambienti lavorativi che non lo sono? Comunque sia andata (altri traumi su traumi che non supererò ma magari ne parliamo un’altra volta) questo anno mi ha donato la famosa “esperienza” e ora che so quello a cui vado incontro, non ho l’entusiasmo di prima, ma solo paura. Sarà un ambiente più grande del precedente, con colleghe più antipatiche e maligne di quello precedente, con regole più severe di quello precedente. Mi mancherà Maria, mi manca già adesso che non ci vediamo tutti i giorni come prima, lei è stata il regalo più grande. Mi mancheranno le gemelle che rimpiango ancora adesso ogni giorno, anche se abitiamo a 100 metri di distanza. E poi basta, non mi mancherà più niente perché ho lottato con le unghie e con i denti per andarmene da quel cesso di posto. Ma questo non mi impedisce di cagarmi sotto ora. Spero solo che i guadagni siano più alti e varranno i sacrifici, altrimenti vorrà dire che si ripresenterà di nuovo la frustrazione di prima, e io un altro anno così non lo reggo.
Il 2023 è stato un anno pessimo e con la malattia di mia madre non mi sono goduta né la proclamazione né la festa di laurea. Dopo in effetti, non pensavo di trovare lavoro nell’ambiente scolastico così presto. Semplicemente il primo sabato di settembre ho fatto il colloquio, il lunedì ero già dentro. Ma solo perché lì erano disperati, non per merito mio. Da settembre a marzo ho lavorato 12 ore al giorno, mi alzavo alle 7, andavo al lavoro alle 8, tornavo da scuola alle 2, cominciavo il doposcuola alle 3, finivo alle 8, mangiavo, facevo i piatti, alle 10 crollavo sul divano senza neanche mettermi a letto. Mia madre mi guardava storto tutto il tempo perché non solo non ero presente quando lavoravo, ma neanche il resto della giornata (dovrei dire serata). Un po’ l’ho fatto anche per disintossicarmi da loro, stare a contatto con mia madre e mio padre h24, da quando mia madre ha smesso di lavorare, è stato un altro elemento deteriorante per la mia psiche. Quando c’era il mio fidanzato nel weekend facevo il borsone e me ne andavo a casa sua, la sera uscivo. Ma facevo fatica a fare anche quello, la vita sociale per me era un sacrificio, dovevo calcolare anche il tempo materiale per farmi uno shampoo. Nel frattempo è tornato mio fratello qui ma non è cambiato molto, non mi ha alleggerito dai pesi familiari. Continuavano gli esami, le scadenze, le visite di mia mamma e tutto il resto. So che arriveranno altri tempi così, che non sono finiti, ma ripensandoci, e con la voglia di lamentarmi fino al 2032, è stata davvero dura. Da marzo ho allentato un po’ la presa, non per mia scelta, ma è stato un bene. Da scuola ho iniziato ad uscire alle 4 e la sera davo qualche lezione quando capitava, ma niente di fisso. Ci ho perso molto economicamente ma ci ho guadagnato di salute mentale. Ad aprile è successo un altro evento traumatico che speravo proprio di non rivivere ma è stato un altro punto di svolta.
Da giugno in poi ho cambiato idea 50 volte sul mio futuro, prima ho dato conferma a quella scuola per restare, anzi l’ho chiesto proprio io, poi all’improvviso, e con una grande mossa scorretta (devo ammetterlo, ma se lo meritavano) e ho mollato tutto per un’altra scuola. Luglio è stato devastante, lavorare con quel caldo, all’aperto, senza un filo d’aria, mi ha portato a stare male fisicamente. Credevo fosse chissà cosa invece poi da quando ho smesso di lavorare non avevo più niente. Ho somatizzato con giramenti di testa, narcolessia, affanni vari, dolore in petto, schiena bloccata per settimane, intrattabilità e voglia di buttarmi da un burrone. In tutto ciò fingevo simpatia e non curanza con le nuove colleghe (tutte un dito in culo, comprese le bidelle) giusto per non farmi riconoscere e farmi cacciare il secondo giorno, dopo tutto il sacrificio che stavo facendo.
E ora eccomi qua, 16 agosto e con il solito caldo asfissiante, aggiungo qualcosa al carrello su Shein e su Amazon, guardo borse e collane, leggo qualche pagina, guardo qualche serie che non mi piace, riguardo film che avevo visto anni fa e non ricordavo. Mi ricordo che ho questo blog da decenni e mi ritrovo a scrivere digitalmente, infatti mi fanno male le dita. Da circa un anno avevo iniziato un diario cartaceo vero e proprio, era un modo per sfruttare i vari quaderni comprati negli anni, la cancelleria, e perché tutti dicono faccia bene. A me scrivere ha sempre fatto bene, ma non guarisce (ma va?). Ho iniziato il diario più che altro per tenere traccia della malattia di mamma ma è diventato uno sfogatoio per varie vicissitudini quando ne avevo il tempo. Altrimenti urlavo e basta: più rapido ed efficace. Ho comprato la Valeriana sperando non mi faccia effetto cavallo (ovvero dormire dopo 5 minuti) sperando calmi i miei attacchi d’ansia. Nell’ultimo mese ho avuto un paio di attacchi di panico, non si presentavano da molto e credo siano stati il risultato dell’accumulo del nervosismo degli ultimi 10 mesi. Ovviamente si presentano quando la vita si ferma e quando mentre sei in affanno per qualcosa. L’ansia ti bussa sempre quando te la dimentichi. Per calmarmi ho pensato ad Inside Out e a quanto fosse descritto bene quel momento. Ad ogni modo, mi ha aiutato. In questi momenti mi dispiace sempre molto per chi mi sta vicino, capisco che è una cosa difficile da gestire per chi non è abituato. Neanche io mi abituerò mai, quindi figuriamoci. Almeno adesso so che non dipendono solo da una persona sola, prima li attribuivo solo a dei momenti precisi della vita, adesso almeno mi sono autodiagnosticata l’ansia e basta, ne soffro, amen. Questo mi impedisce di vivere serenamente? Ovvio. Ogni tanto mi motivo da sola e mi dico che sono forte a superare tutto ciò ma la realtà è che mi sento solo un peso per me stessa e per gli altri. Sono ancora quella che legge, scrive, corregge. Faccio polemica e rido. Mi arrabbio e sbraito. C’è mai qualcosa che mi farà mai trovare pace nella vita? Non credo.
#questo è rimasto l'unico posto dove non si possono fare le storie e la cosa non mi aggrada#personal luciacl#ansia#attacchi di panico#scuola#insegnamento#no reblog
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Fare le pulizie in Svizzera, ecco quanto si guadagna
[[{“value”:” Nel mondo dei social, sono davvero in tanti coloro che curiosano per conoscere le storie di chi parte all’estero in cerca di lavoro, dato che la disoccupazione è alle stelle e i giovani, in particolar modo, seppur con grossi sacrifici, lasciano la loro terra natia, i loro familiari e amici, sperando in un futuro migliore. Su Tik Tok, ad esempio, è diventato virale il caso…
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Ammo: valori di vita e musica vanno di pari passo
Reduci dalla pubblicazione nel 2023 del loro primo disco, la band propone un mix ottimo di tutto ciò che gli serve per poter esprimere al meglio i propri pensieri e sentimenti. Si va quindi dal rock più viscerale al blues passando per sferzate quasi metal attraversate da sentori reggae. Insomma un melting pot unico che rende il gruppo riconoscibile e con carattere. In questa intervista si raccontano. Dicono come sono nati, perché hanno deciso di suonare. Soprattutto, raccontano cosa vuol dire per loro la musica nella vita di tutti i giorni.
Una presentazione per chi non vi conosce
La nostra è una band nata per purissimo caso,nato da un incontro totalmente fortuito e inaspettato che se si cercava di vincere al superenalotto forse c’erano più possibilità.
Mirko e Alessandro per passare alcune ore liete iniziano a trovarsi per suonare qualche brano in doppia chitarra,dopo qualche mese l’idea di mettere su una band ricercando gli altri musicisti con annunci e passaparola.
Band formata,ognuno al suo posto si è iniziato con delle cover Pink Floyd,Deep Purple qualche sporadica esibizione qua e la, poi un giorno Mirko è arrivato in sala con un brano RIDING TO THE STARS scritto in un momento di puro ricordo su eventi passati,abbiamo iniziato a lavorarci e da lì abbiamo capito che potevamo scrivere e comporre altri brani ancora.
Il 16 giugno è stato rilasciato il nostro primo album TO THE STARS e in gennaio registreremo il nostro secondo album che verrà rilasciato il 9 maggio 2024.
Abbiamo ottenuto una collaborazione nel nuovo disco con Luca Colombo e il 2023 per noi è davvero stato un annata eccezionale per i live riuscendo addirittura a varcare i confini italiani.
Iniziamo dal vostro ultimo lavoro. Il vostro ambito musicale caso o scelta precisa?
Una scelta molto democratica,nel senso che ognuno di noi immaginava il brano con suoni e mood diversi li abbiamo provati e riprovati cercando di creare qualcosa che piacesse a tutti e soprattutto un timbro e una linea che riconducesse a noi.
Quali sono le vostre influenze?
Siamo una band eterogenea,le influenze sono tante ma noi assembliamo il brano in base al messaggio che vogliamo trasmettere, le emozioni che noi proviamo cerchiamo, nel migliore dei modi possibili, di trasformarli in musica per farle arrivare al nostro pubblico per come le proviamo noi.
Come sono nati i brani?
I brani sono nati tutti da Mirko, il ragazzone ha tanto da raccontare scrive, scrive, scrive ed ha idee davvero forti che poi in sala lavoriamo assieme e portiamo avanti di comune accordo.
L’aspetto più difficile del vostro modus creativo?
In realtà nessuno, non abbiamo fretta nel concludere i nostri lavori e fortunatamente all’interno della band si prova i nuovi brani in totale serenità ed armonia e si va avanti finché non si trova la struttura giusta
Quanto contano le influenze non musicali nella creazione dei brani?
Cerchiamo di essere il più originali possibili, lavoriamo affinché il nostro sound sia riconducibile al nostro nome ma senza dubbio i Pink Floyd e i Deep puple
Quale ambito vi ha ispirato maggiormente?
Sicuramente la scena rock legata agli anni 70/80 e il periodo post rock legato al grunge di Seattle
Il rock ha ancora spazio nel panorama contemporaneo?
Assolutamente si,il rock non morirà mai.
Quanto contano le parole in un disco?
Le parole contano tantissimo,se vuoi utilizzare la musica per trasmettere un messaggio devono essere parole sentite che siano esse di gioia o di dolore
Perché avete deciso di scrivere musica?
Mirko ha studiato musica da ragazzino poi per motivi familiari ha dovuto smettere, la vita lo ha costretto a sacrifici non indifferenti, una volta sistemato, ha riportato a galla la sua voglia di scrivere e far musica
Non è mai troppo tardi no?
La musica che si propone, deve avere un messaggio?
Certo che si, attraverso la musica vanno esplorate emozioni come gioia, disperazione angoscia e chi vive appieno queste emozioni e gli da un valore nel bene o nel male deve per forza trasmettere un messaggio che sia esso di aiuto, di perdono o d amore
Tante band cercano di riprodurre ciò che è stato perché la musica di oggi non vale nulla. Voi come la pensate?
Potremmo dibattere a lungo su questo argomento,ci limitiamo a dire che la musica è un gran valore aggiunto nella nostra vita e bisogna darle la giusta importanza. Valori di vita e musica per noi vanno di pari passo
Qualcuno ha detto che diversi artisti storici oggi continuano a produrre più per ‘contratto’ che per passione. Secondo voi?
Abbiamo ascoltato i grandi del rock leggende intramontabili produrre nuovi album e la nostra domanda è stata ma perchè? E’ come se avessero rovinato un percorso ormai sancito e ben definito. Commercializzarsi vuol dire vendersi ma vuole dire soprattutto non poter essere chi si vuol essere!!
La musica oggi dovrebbe essere più…?
La musica oggi dovrebbe essere un misto tra buona tecnica e una forte passione quella che cerchi di trasmettere al tuo pubblico quando sei sul palco, musica suonata e cantata senza strani ausili.
Una band per cui vi piacerebbe aprire?
Sicuramente i Pearl Jam!!
Una che vorreste aprisse per voi?
Non che ci aprisse, ma che condividesse lo stage con noi sicuramente i Ghost Hounds
Il vostro concetto di underground?
Diffondere il proprio messaggio, apertamente senza la minima paura di essere contestati o additati
La sua ‘malattia’ peggiore? La cura?
L industria musicale. Per la cura preferiamo non pronunciarci
Una band o un artista underground che consigliereste?
Alice in Chains senza dubbio
Una mainstream che vi stupisce?
La corrente legata al grunge, niente di meglio che la realtà nuda e cruda
Ieri l’idea, oggi il disco, e domani…
Domani ci aspettano tante date e dei mini tour in Europa a partire da gennaio.
Una domanda che non vi hanno mai posto ma vi piacerebbe vi fosse rivolta?
Ma quanto ci credete in cio che fate?
Se foste voi ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervistereste e cosa gli chiedereste?
Potessimo tornare indietro intervisteremmo Ritchie Blackmore!! Gli chiederemmo di collaborare con noi!!
Un saluto e una raccomandazione a chi vi legge
Ascoltate bene la musica, in ogni sua sfumatura, ogni singola nota, dissonanza vuole trasmettere un sentimento, dategli il giusto valore!!
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What will you be reading this weekend? Gigi Riva, Gigi Garanzini – “Mi chiamavano Rombo di Tuono”
Lo vediamo abbracciato a Roberto Baggio, alla fine di quei maledetti rigori a Pasadena. Ce lo ricordiamo strattonare Gianni Rivera dopo il definitivo quattro a tre sulla Germania, a Città del Messico. Lo ammiriamo ancora oggi, a distanza di decenni, sia come giocatore che come persona: Gigi Riva è sempre stato considerato un uomo dell’altro mondo, un giocatore astrale, lontano dai soliti paradigmi calcistici ai quali siamo abituati, alle dinamiche europee di ieri e di oggi. Inclassificabile come ruolo in campo e come mentalità. Fu vero fenomeno, calcistico e sociale.
“Mi chiamavano Rombo di Tuono” è un’autobiografia che ci aiuta a capirlo meglio, nella sua grandezza, e a riportarlo alla dimensione più umana, quella dimensione che proprio egli stesso ha sempre scelto di mantenere. Leggiuno, sponda varesina del Lago Maggiore. Il lavoro in fabbrica ed il primo contratto da professionista, coi Lilla del Legnano, e la successiva chiamata del Cagliari, in Serie B. Gli affetti familiari, i giorni bui passati in orfanotrofio, l’arrivo in una terra sconosciuta che lo accolse come un nativo. La storia di Gigi Riva è una storia proletaria, di fatiche e sacrifici, ma è anche la storia romanzesca e idealizzata di una vittoria, lo Scudetto conquistato dagli isolani guidati dal profeta Scopigno nel 1970, che in quei difficili anni di post-industrializzazione diede speranza allo sport e, nel nostro caso, nel calcio. Giocatore, attaccante, ma anche dirigente. I successi sul campo (ricordiamo, oltre al Campionato vinto col Cagliari, anche il successo al Campionato Europeo del 1968 che lo vide tra i protagonisti) si accompagnano a quelli ottenuti nel ruolo di dirigente, con il Mondiale del 2006 vinto assieme a Marcello Lippi: i giocatori della nostra nazionale potevano infatti contare su di lui come confidente, come se fosse uno di loro. La carriera del numero undici più famoso del mondo ci viene raccontata in prima persona, senza filtri. Rombo di Tuono ci parla della passione per i motori, del vizio del fumo e dell’incontro con Fabrizio de Andrè, il suo cantante preferito, avvenuto dopo una partita disputata a Genova contro la Sampdoria. Vengono descritte le amicizie cagliaritane ma anche quelle sbocciate sui campi da calcio, come quella, indissolubile, con il campione granata Gigi Meroni, un ragazzo “di lago” come lui. Per alcuni attimi ci dimentichiamo del Riva “campione”, il miglior marcatore di sempre in azzurro, quello che rifiutò i miliardi della Juventus perché li riteneva immorali e quello che si infortunò con la Nazionale due volte, ritirandosi dal calcio giocato giovanissimo, a trentadue anni. “Mi chiamavano Rombo di Tuono” è la testimonianza dolce e vissuta di un giocatore unico al mondo. Che venne adottato da un popolo intero, non solo da una tifoseria o una società calcistica. Che provava fascino più per le barche dei pescatori di Villasimius, che per gli yacht ormeggiati in Costa Smeralda.
“Un’altra volta in allenamento entrai duro su Martiradonna, perché mi stava marcando stretto come se fosse una partita scudetto. Scopigno la prese male. E disse, con quel suo tono che sdrammatizzava e insieme sottolineava, che se io ero importante perché facevo gol, c’era chi era altrettanto importante perché i gol non li faceva fare.”
#gigiriva#michiamavanorombodituono#manlioscopigno#cagliari#seriea#legnano#leggiuno#rizzoli#book#football#footballliterature#footballculture#thebeautifulgame
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DIVIDE ET IMPERA, sottotitolo:
AMIAMOCI GLI UNI CON GLI ALTRI
Non c'è dubbio che la situazione distopica che stiamo vivendo da quasi 4 anni, sembra (anzi, è) creata ad arte per generare dei mini-conflitti interpersonali, per dividere ancora di più la società e persino per causare discussioni e litigi all'interno dei nuclei familiari.
Non sono mancati addirittura separazioni, divorzi anche tra coppie di coniugi o di semplici "innamorati". Ovviamente il riferimento è al periodo "pandemico", nel quale si è discettato sull'utilità delle mascherine per prevenire un contagio e successivamente se le vaccinazioni potevano essere la panacea per superare alcune problematiche medico-sanitarie.
Ma, come per ogni "disputa" che si rispetti, più che semplici prese di posizione, di opinione si è quasi assistito a "un tifo da stadio" dove chi dissentiva dalla maggioranza delle persone veniva bandito o comunque relegato ai margini della società, soprattutto con l' "avvento" del "green pass" che ha tolto letteralmente il lavoro a un'ampia platea di lavoratori.
E come se non bastasse ci si sono messe le varie emergenze: dapprima quella idrica con i pareri di chi riteneva che lo spreco e il consumo di gas e di energia oltre che comportamenti "scorretti" nel quotidiano (ad esempio l'uso dell'automobile) generasse un innalzamento nell'atmosfera di calore, "responsabile" di cambiamenti climatici e di conseguenza di impoverimento idrico, teoria contrastata da chi asseriva che in realtà tali "ristrettezze" fossero dovute a un mancato rilascio idrico delle centrali idroelettriche.
Successivamente l'emergenza legata al conflitto russo-ucraino ha generato altri dissapori tra chi sosteneva che Putin avesse invaso l'Ucraina e quindi avrebbe dovuto essere perseguito, contrariamente a chi riteneva che il conflitto tra i due Stati fosse tutta una manovra della Nato e del mondo occidentale per destabilizzare ulteriormente un'altra regione orientale e per imporre una "linea" dettata dal Nuovo Ordine Mondiale.
La conseguenza di ciò è stata un'altra emergenza, quella energetica con il conseguente rialzo dei prezzi delle materie prime e quindi anche dell'energia che ha imposto e sta imponendo tuttora, enormi sacrifici alle famiglie europee e in particolare a quelle italiane.
Quale la soluzione allora? Continuare ad affidarsi al gas russo oppure (date e considerate le restrizioni da parte degli stati europei di approvvigionarsi dalla Russia) acquistare energia da altri paesi? Immancabilmente voci discordanti e contrastanti tra di loro hanno suggerito le più svariate ipotesi.
Recentemente le stesse divisioni si stanno registrando per via della guerra in corso tra Israele e Palestina tra chi sostiene che Israele siv vittima di attacchi sconsiderati e che meriti rispetto dopo i fatti della Seconda Guerra Mondiale e l'olocausto, e tra chi asserisce che il terrorismo palestinese sia in realtà un'ulteriore "manovra" filo-occidentale per indebolire ancora di più lo stesso popolo palestinese.
E come per "incanto", ecco riproporsi il problema sanitario con alcuni aspetti che stanno emergendo, ma con una consistente "fetta" di popolazione che ancora è convinta che il "Covid19" non sia ancora del tutto debellato. Nuove discussioni, altri "pro" e "contro", un "divide et impera" che continua a fare il "gioco" di una classe politica (e non solo) del tutto incapace e incompetente.
E qui "entriamo e scendiamo in campo" noi risvegliati o nemmeno mai "addormentati": che da quasi quattro anni sosteniamo che questa "guerra" all'umanità non la si affronta parteggiando per questo o quel movimento politico o meno, che non è avendo un'idea piuttosto che un'altra si risolvono i problemi, che non è stando su una posizione piuttosto che su quella opposta che si contrastano e si vincono le resistenze dell'altra parte. Ma semplicemente è venendo in aiuto di chi ha passato problemi inenarrabili e fornendo loro spiegazioni e informazioni corrette e indirizzandoli verso un cammino "spirituale" che possono superare tali problematiche. Tutto facile? No, assolutamente! E allora come fare? Con atteggiamenti e comportamenti meno portati a sterili discussioni, ma con quei piccoli gesti e con l'esempio che i cosiddetti "no vax" hanno portato finora, ovvero vivere secondo "natura", non dando credito e nemmeno adito a tali discussioni ma trovando sempre dei punti di contatto in comune tra chi ha opinioni differenti, punti di contatto che favorisca il dialogo, la partecipazione, l'unione e il tutto portando amore e amicizia tra le persone.
Vi e mi chiederete? Ma che assonanza ha con l'articolo? Ne ha, ne ha...perchè se anzichè dividerci si avesse compreso tutto ciò e si sarebbe proseguito restando uniti pur nel rispetto delle opinioni altrui, ma prendendo quei messaggi come un consiglio per non disperdere energie, probabilmente si avrebbe affrontato ogni situazione senza frenesie, senza ansie ma con più raziocinio e con più equilibrio, condizioni queste che sono sempre indispensabili per far sì che al "divide et impera" si imponga invece il "unione e libertà"!
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Roma: gli Allievi Carabinieri del 142° Corso Formativo hanno giurato alla presenza del Comandante Generale
Roma: gli Allievi Carabinieri del 142° Corso Formativo hanno giurato alla presenza del Comandante Generale. Roma. Nella mattinata odierna, presso la Caserma “Cap. M.O.V.M. Orlando De Tommaso” di Roma, alla presenza del Comandante Generale Teo Luzi, si è svolta la cerimonia del Giuramento Solenne e conferimento degli “Alamari” agli Allievi Carabinieri del 142° Corso Formativo, intitolato al Carabiniere Medaglia d’Oro al Valor Militare “alla memoria” Andrea Marchini, Eroe della Guerra di Liberazione. Al cospetto della Bandiera di Guerra dell’Arma dei Carabinieri, cui è stata da poco conferita la croce di “Cavaliere” dell’Ordine Militare d’Italia, i 346 Allievi hanno giurato fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione e, in ossequio a una lunga e suggestiva tradizione, hanno vissuto l’emozionante momento dell’apposizione degli alamari, da parte di familiari o persone a loro care, sulle “marsine” della Grande Uniforme Speciale, mentre in sottofondo echeggiava la formula: “In nome di una antica tradizione ti affido gli alamari simbolo sacro di ogni Carabiniere. Indossali con onore, orgoglio ed incondizionato senso del dovere, memore dei silenziosi e spesso supremi sacrifici di chi ti ha preceduto e di esempio per coloro che ti seguiranno. Mantieni vivi ed incrollabili gli ideali di rettitudine ed onestà che essi rappresentano, proseguendo con fermezza, umanità ed alta professionalità gli impegni assunti con il giuramento di fedeltà alla Patria. Buona fortuna, quindi, e ricordati che con la perseveranza e ferrea determinazione nessun ostacolo è insormontabile”. Agli Allievi classificatisi nei primi 6 posti della graduatoria del corso di formazione, gli alamari sono stati apposti dal Presidente della Corte dei Conti, dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, dal Comandante delle Scuole dell’Arma, dal Presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri, dal Presidente dell’ONAOMAC, che è l’Opera Nazionale di Assistenza agli Orfani dei Militari dell’Arma e dal Comandante della Legione Allievi Carabinieri. È particolarmente significativa l’intitolazione del corso al Car. M.O.V.M. “alla memoria” Andrea Marchini, uno dei tanti protagonisti della difesa della democrazia e della libertà in Italia, nell’anno in cui si celebra l’ottantesimo anniversario dall’inizio della guerra che portò alla liberazione della Nazione dal nazifascismo, con il determinante contributo di migliaia di militari dell’Arma dei Carabinieri. Nell’occasione, è stata consegnata una targa ricordo al Dott. Giuseppe Marchini, nipote dell’Eroe e detentore della Medaglia concessa, ed è stata letta la motivazione con cui è stata tributata l’onorificenza: “Carabiniere audace e valoroso acclamato Caposquadra dai suoi partigiani che lo vollero loro comandante, di ritorno in pattuglia da un’ardita missione compiuta oltre lo schieramento nemico, veniva attaccato da un reparto tedesco. Benché in condizioni di inferiorità numerica e benché ogni libertà di movimento fosse intralciata da un campo minato, accettava l’impari lotta e con indomito valore sosteneva l’urto nemico. Mutilato di un piede asportato dallo scoppio di una mina, vincendo lo strazio della carne ridotta a brandelli, con l’intenso fuoco del suo mitra fronteggiava per due ore l’avversario incitando con l’esempio e con la parola i suoi uomini a resistere fino all’estremo per non abbandonare i compagni feriti. Colpito a morte, cadeva da Eroe con la fronte volta al nemico, confermando e perpetuando con l’offerta della sua vita le nobili tradizioni dell’Arma dei Carabinieri che ha per credo abnegazione, dovere e sacrificio”. Monte Carchio (Toscana), 15 dicembre 1944. Il Comandante Generale Teo Luzi ha affermato: “Voi dovete saper servire la comunità, rischiare per la comunità e dare il meglio di voi stessi. La gente deve avere fiducia nelle Istituzioni e in questo l’Arma dei Carabinieri può fare molto per alimentarla. Il sentimento della fiducia collettiva è indispensabile per conseguire quella coesione sociale, presupposto per superare le difficoltà di questo momento storico, condizionato dagli effetti post pandemia, dalla guerra nel cuore dell’Europa e dal conflitto in terra di Israele e Palestina”. Il giuramento degli Allievi Carabinieri di Roma ha seguito l’analoga cerimonia tenutasi ieri presso la Caserma “V. Brig. M.O.V.M. Salvo d’Acquisto” di Velletri, dove hanno giurato i frequentatori del 141° Corso Formativo. Nei prossimi giorni, giureranno gli Allievi delle Scuole di Torino, Iglesias, Campobasso, Reggio Calabria e Taranto.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Un ascolto fattivo
Non basta costruire, non basta consacrare, come pure non basta persino offrire «cento tori, duecento arieti, quattrocento agnelli e dodici capri come sacrifici espiatori» (Esd 6,17). Tutto questo va fatto «con gioia» (6,16). Di questa gioia sembra manchino i familiari di Gesù, i quali sembrano gettare una certa ombra su quello che il Signore sta vivendo con la «folla» (Lc 8,19) a motivo di una…
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Oggi le nozze d'oro di Lillo Spina e Rosetta Marotta
In un caldo pomeriggio estivo del lontano 1971, due giovani cuori si incontrarono per la prima volta a Favara senza sapere che il loro destino era già intrecciato. Lillo Spina, all'epoca ventiseienne, tornava nella sua città natale per le vacanze estive, mentre Rosetta Marotta, all'età dolcemente giovane di sedici anni, era in vacanza da una delle sue amiche. Quel momento fugace, in cui i loro occhi si incontrarono per la prima volta, sarebbe stato il punto di partenza di una storia d'amore destinata a durare per almeno cinquant'anni. Nonostante vivessero entrambi vivevano in Germania, il destino ha deciso di farli incontrare quell'estato a Favara. L'amore sbocciò lentamente, e Lillo decise di chiedere la mano di Rosetta, ma il padre di lei non era ancora pronto a concedere il suo beneplacito a causa della giovane età della figlia. Così, Lillo, allora 26 enne, decise di attendere e dimostrare la serietà dei suoi propositi. Dopo due lunghi anni di attesa, il padre di Rosetta acconsentì finalmente al fidanzamento, e il 30 luglio del 1973, nella suggestiva chiesa di San Calogero, i due giovani innamorati si unirono in matrimonio. Da quel momento, la loro vita prese una piega nuova e meravigliosa, fatta di impegno, amore, e sacrifici reciproci. Oggi, Lillo Spina ha 77 anni ed è in pensione, ma il suo spirito intraprendente lo porta a collaborare con i suoi figli nel locale "Il Casello". Rosetta, invece, ha 68 anni e, pur essendo in pensione, continua a supportare i figli nella gestione del ristorante di famiglia. Tre meravigliosi figli sono nati da questa unione: Graziella, Tonino e Gaetano. Graziella, la primogenita, ha 48 anni ed è una guida turistica. Tonino, 44 anni, ha sempre affiancato il padre nel bar "Al Casello" e oggi dirige il locale insieme al fratello minore, Gaetano. Quest'ultimo, 32 anni, si è unito ai suoi fratelli per fondare un'impresa familiare di successo, dove lavora anche sua moglie, Ilenia. La coppia, oggi nonni affettuosi, è circondata da due nipoti che portano gioia e vitalità nella loro vita. Aurora, quasi undici anni, e Antonio, nove anni, sono le mascotte della famiglia e partecipano con entusiasmo a tutte le celebrazioni familiari. E proprio una celebrazione speciale sta per giungere: il cinquantesimo anniversario di matrimonio di Lillo e Rosetta Spina. Per commemorare questo straordinario traguardo, la coppia rinnoverà le loro promesse nella chiesa di San Francesco, grazie all'officiatura di Don Calogero, questo pomeriggio 31 luglio 2023, alle ore 17:00. La cerimonia sarà seguita da un momento conviviale presso un noto ristorante dove amici e parenti si uniranno per festeggiare l'amore eterno di questa coppia speciale. La storia di Lillo e Rosetta è un esempio di dedizione, amore e impegno reciproco che ha superato la prova del tempo. Cinquant'anni di vita insieme, segnati da gioie e avversità, che hanno rafforzato il loro legame e hanno creato una famiglia unita e affiatata. Da Sicilia Tv e dalla rubrica "Tanti Auguri" arrivano auguri di cuore a Lillo e Rosetta Spina, un esempio luminoso di amore eterno che continuerà a brillare nel corso degli anni a venire. Read the full article
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prayer against witchcraft attacks (not mine)
Padre Celeste, Vengo davanti a te oggi, per dichiarare guerra a tutti gli attacchi di stregoneria demoniaca che il nemico prova a mandare sulla mia strada. Per prima cosa indosso l'intera armatura di Dio secondo Efesini 6:10-18, e saturo me stessa e la mia casa nel sangue di Gesù. Vorrei anche pentirmi di tutti i miei peccati, nel nome di Gesù. Padre, tutti i peccati conosciuti e sconosciuti che ho commesso davanti a te oggi, volto le spalle su questi e ti ringrazio per avermi perdonato. "Crea in me un cuore puro, o Dio, e rinnova in me uno spirito saldo". Salmo 51:10
Chiudo la porta a tutte le cose che permetteranno a Satana e ai demoni di farsi strada nella mia vita. Signore, nella tua parola si dice che la parola di Dio è la spada dello spirito (Efesini 6:17) Quindi, lascia che le mie parole penetrino attraverso il regno naturale e nel regno spirituale. Oggi vengo contro tutti gli attacchi di stregoneria contro la mia mente e dichiaro che la mia mente è coperta dal sangue di Gesù. Lego tutta la stregoneria contro bambini e animali innocenti, fatta come rituali e sacrifici per guadagno demoniaco, e ti chiedo di mettere la tua fortezza intorno a loro. Lego tutta la stregoneria del controllo mentale, la stregoneria fatta contro le mie finanze, la stregoneria fatta contro la mia salute, la stregoneria fatta contro la mia famiglia, la stregoneria fatta contro di me dal regno marino, la stregoneria fatta attraverso l'astrologia, la stregoneria fatta attraverso le stelle, la luna, il sole, le nuvole , ciotole d'acqua, vasi, stregoneria fatta attraverso incantesimi, incantesimi, voodoo, hoodoo, radici, polvere feticcio, stregoneria fatta attraverso maledizioni di parole, stregoneria fatta attraverso negromanzia e incantesimi. Lego anche tutti gli spiriti proiettanti astrali e gli attacchi nei sogni che provengono dalla stregoneria. E perdo il sangue di Gesù.
Distruggo con il sangue di Gesù, tutti gli spiriti sorveglianti, di monitoraggio e gli spiriti familiari che sono attaccati allo spirito della stregoneria. Dichiaro che tutti i dispositivi di monitoraggio utilizzati, come specchi, sfere di cristallo, schermi neri, ciondoli e qualsiasi altro dispositivo vengono permanentemente danneggiati senza alcuna possibilità che vengano ripristinati, riavviati o riprogrammati contro di me, dichiaro che NON avranno più accesso a me . Mando confusione ai miei nemici in modo che dimentichino il loro incarico contro di me e interrompano del tutto il loro incarico. Ordino a ogni cordone d'argento, linea comune, portale e qualsiasi altra fonte di trasporto, di essere distrutti per sempre dal sangue di Gesù e dalla POTENZA di Dio. Lego ogni spirito familiare e tutti gli spiriti nominati e senza nome e comando loro di lasciare la mia casa, lasciare il mio corpo, lasciare il mio posto di lavoro e ovunque risiedano con lo scopo e tentativo di vegliare su di me, e comando loro di prendere FUOCO proprio ora in il nome di Gesù.
Padre Dio, ti chiedo di costruire il tuo prezioso muro/barriera di fuoco intorno alla mia casa e al mio corpo secondo Zaccaria 2:5 "Poiché io, dice il Signore, sarò per lei un muro di fuoco tutt'intorno e sarò la gloria in mezzo a lei."
Padre, sei fedele e affidabile, e credo che mi solleverai e mi manterrai protetta sotto le tue ali, secondo il Salmo 91. Hai dimostrato nel tempo che la stregoneria è un abominio per te, quindi rimango ferma sulla tua parola . Credo che tutti gli attacchi di stregoneria proiettati contro di me saranno annullati, cancellati e distrutti dal sangue dell'agnello. Esegui la tua vendetta e la tua rabbia sui miei nemici che usano la stregoneria per tentare di manipolare il mio destino, come hai fatto in Michea 5:9-15, dove tutta la stregoneria è stata distrutta nelle loro città. Annullo con il sangue dell'agnello ogni incarico demoniaco progettato contro la mia vita, oggi e per l'eternità. Dichiaro che ogni volta che la maledizione viene rilasciata, sarà inefficace e nulla. Signore, i miei nemici non possono maledire chi hai benedetto.
Signore, i miei nemici non possono maledire chi hai benedetto. Geremia 17: 7 afferma "Ma beato è colui che confida nel Signore. La cui fiducia è in lui". Proverbi 26: 2 afferma "Come un passero svolazzante o una rondine guizzante, una maledizione immeritata non cadrà sulla sua vittima designata". Infine, Signore, annullo e distruggo ogni rappresaglia demoniaca a causa di questa preghiera. Lego tutti gli incidenti, gli spiriti della malattia e dell'infermità, gli attacchi mentali e fisici, i tormenti e qualsiasi altra cosa il nemico possa tentare di usare per vendicarsi. Abbi pietà Padre, di qualsiasi maledizione generazionale o ereditaria che possa entrare come diritto legale per gli attacchi demoniaci contro neonati e bambini innocenti. Ordino a ogni demone di non tentare nemmeno di entrare nel tempio del Dio vivente. I cieli mi sostengono, nel nome di Gesù prego,
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Maupassant presenta questo breve romanzo come il manifesto del naturalismo oggettivo e lo definisce '𝑒𝑡𝑢𝑑𝑒 𝑝𝑠𝑦𝑐ℎ𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑞𝑢𝑒'. Pierre e Jean é infatti un viaggio nella psiche dei personaggi, come afferma anche Italo Calvino nell'introduzione.
In particolare, é un viaggio nella psiche di Pierre, il fratello che dubita e che ne rimane deluso. Ma proprio il dubitare e la delusione di Pierre sono elementi d'impaccio per la famiglia. Jean, che sembrerebbe il piú buono ed é guidato da buoni sentimenti, risulta materialista, insensibile e la sua dichiarazione d'amore nei confronti della signorina Rosémilly si rivela un freddo scambio di impegni formali. Ogni cosa é destinata ad avere il proprio corso, ma soltanto con la partenza di Pierre. Gli equilibri familiari sono ormai rotti dalla presenza ingombrante dell'eredità di Jean e dalla terribile verità, mentre la polvere delle incomprensioni é stata riposta sotto il tappeto del mai provato benessere. Questo é un romanzo grandioso.
Per quanto riguarda i racconti, Maupassant non riesce a catturarmi come invece fa sempre con i romanzi. Emblematico il racconto di Palla di sego, donna che nella Francia invasa dai prussiani, deve cedere ai capricci di un ufficiale prussiano affinché la compagnia con la quale si trova possa proseguire il viaggio. La riflessione di Maupassant é che esistono persone talmente crudeli da non dare mai la propria approvazione, nemmeno al costo di un sacrificio. Del resto, esistono sacrifici 'giusti'? E Fino a che punto ci si puó sacrificare?
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Recensione - Nana di Xandra Tray
"Nana" di Xandra Tray è un romanzo che afferra il cuore e lo stringe con forza, portandoci in un viaggio attraverso un turbine di emozioni. La protagonista, Ame, è una giovane donna con una personalità unica, che dipende dalle Marlboro e ama la comodità del suo letto. La sua estate in Sicilia, prima dell'inizio dell'università, si trasforma in un'avventura travolgente, quando scopre che l'amore della sua vita non è solo suo.La trama del romanzo affronta temi come i problemi del cuore, le difficoltà degli adulti e le maledizioni familiari. Le donne De Angelis, alle quali Ame appartiene, portano con sé una storia ricca di scelte coraggiose e sacrifici. Ame è una ragazza determinata, disposta a conquistare il mondo pur di aiutare le persone che ama. Tuttavia, si trova ad affrontare una vendetta che ha iniziato a giocare con un fuoco che sembra non volersi spegnere. Le montagne russe della sua quotidianità portano persone dentro e fuori dalla sua vita con la forza di un uragano.Tuttavia, a volte qualcuno entra in punta di piedi, e nessuno se ne accorge. È così che Peter entra nella vita di Ame, dapprima come amico e poi come finto fidanzato. Man mano che la storia si sviluppa, Peter arriva silenziosamente al cuore di Ame, che finalmente sperimenta l'amore vero. È un amore altruista, disposto persino a lasciare il ragazzo che ama per la sua felicità. Anche Peter, lontano da Ame, capisce di amarla, ma credendo che sia felice, si fa da parte. Tuttavia, quando due anime sono legate, finiscono inevitabilmente per ritrovarsi."Nana" è molto più di una semplice storia d'amore. Esplora tematiche complesse come il tradimento, il riscatto, il perdono e le paure. Il romanzo affronta anche rancori, illusioni e speranze folli, ponendo un'enfasi particolare su un'amicizia profonda e inossidabile. La storia ti farà ridere fino alle lacrime e piangere fino a prosciugarti. Attraverso le pagine di "Nana", si respira l'essenza dell'amore in tutte le sue sfumature, e l'autrice dimostra una comprensione e un'apprezzamento per ogni tipo, genere e colore di amore nel mondo.La scrittura coinvolgente di Xandra Tray tiene il lettore incollato alle pagine, desideroso di scoprire come si sviluppa la storia. I personaggi sono vividi e ben sviluppati, con Ame come una protagonista che affascina e conquista il cuore. La trama si sviluppa con un ritmo coerente, mantenendo il lettore affamato di più.In conclusione, "Nana" è un libro che consiglio vivamente a tutti coloro che amano le storie d'amore emozionanti e profonde, intrecciate con amicizia sincera e folle . Xandra Tray ha creato un'opera che rimarrà nel cuore del lettore, offrendo una lettura coinvolgente che esprime l'amore in tutte le sue forme. Preparatevi a essere catturati dalle pagine di "Nana" e ad immergervi in un viaggio indimenticabile.
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sono mesi che non entro qui e devo ammettere che mi ha portato solo benefici. l’unica cosa che effettivamente mi è mancata è stato avere un posto dove esprimere le mie incertezze, le mie paure. un posto dove sfogarmi. però c’è pure da dire che starne lontano mi ha insegnato ancor più di prima a non rivelare mai i nostri punti deboli agli altri, una cosa che già sapevo e già evitavo, ma io sono così: finché non ho le prove concrete non posso dire di credere in qualcosa e motivare ciò in cui credo.
tuttavia ci tengo ad aggiornare coloro che magari leggevano questo blog per trovarci qualcosa, qualcosa o qualcuno a cui aggrapparsi per trovare un punto di riferimento (non che io mi ritenga tale), però mi ritengo un caso particolare. dopo mesi abbastanza turbolenti ho conosciuto questo ragazzo, D. dolce, premuroso, preso, attento, stronzo.. ma buono e che mi apprezza. stiamo insieme da cinque mesi. l’unico problema? abita a roma, dove io non vivo più da anni. è successo che dopo essere stati insieme a casa sua, (una bellissima casa al mare, di quelle che avrei comprato personalmente se avessi potuto) abbiamo fatto davvero molta fatica a lasciarci andare, avremmo voluto passare tutto il lockdown natalizio insieme, ma io avevo dei doveri familiari, e sono andata, con mio enorme dispiacere. appena uscita dal raccordo anulare per prendere l’autostrada, infatti, ho cominciato a piangere mentre guidavo, ma ero fiduciosa, sapevo che questa volta, almeno lui, non se ne sarebbe andato. tornata a casa ero comunque spaventata, so che la distanza probabilmente a sto mondo l’affronto bene solo io, nella mia vita fatta di mancanze, mi sono abituata. durante questi mesi passati separati molto spesso ci siamo trovati a parlarne e lui era ed è spaventato e onestamente pure io, perché forse non mi sono mai sentita così sicura. non sono mai stata troppo bene. e quindi cosa ho fatto? sto lottando, faccio quello che mi riesce meglio. fra pochi giorni mi trasferirò di nuovo a Roma, andrò a vivere da sola, con le mie forze, con me stessa. sarà difficile ma ce l’ho fatta, ho vinto io. tutta questa sega immensa per dirvi, pregarvi, di non arrendervi, regà lottate sempre. ci vogliono spesso tanti sacrifici nella vita, ma se non vi fate bloccare dalla paura, riuscirete a volare. godetevi il viaggio.
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“I veri ribelli nascono dai sacrifici non ripagati. Dalle truffe familiari, da una rigida educazione che ti priva di tutto in previsione di qualcosa che da grande non sarebbe mai arrivata. Da un datore di lavoro che ti sfrutta e tratta male per quattro soldi che a mala pena riesci a sopravvivere. Da una scuola che ti obbliga a imparare a memoria e non sgarrare di una riga con un tuo pensiero per ottenere quel pezzo di carta senza averci capito niente e senza la certezza di ottenere poi quel lavoro nel futuro. Sottostare a qualcosa di scomodo per uno scopo è ignobile, ma sottostare a qualcosa di scomodo senza nessuna garanzia per il futuro è ignobile e ignorante. E questa è la differenza che passa tra servi e schiavi”.
(Mara Yi)
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L’OTTIMISMO CHE VIENE DALLA CONOSCENZA
[29 marzo 2020]
Oggi parliamo di un nuovo ed interessante risultato scientifico che viene dalla Cina. Avviso: questo è un post un po’ tecnico ma con IMPORTANTI IMPLICAZIONI PRATICHE, quindi leggetelo fino in fondo!
Uno degli aspetti più importanti da chiarire su COVID-19 è la sorte dei pazienti cosiddetti “guariti”. Sto parlando di quelle persone che hanno avuto l’infezione, confermata da un tampone positivo, ma l’hanno superata dal punto di vista clinico, cioè stanno bene, ed ora hanno un tampone negativo. Queste persone NON sono poche. Teniamo presente che solo in Italia ne abbiamo 12.384, secondo i dati ufficiali – ma in realtà sono molte di pi��, considerando quante delle infezioni da COVID-19 sono rimaste senza diagnosi, in quanto asintomatiche o lievi.
Le domanda che tutti ci poniamo sono: questi soggetti “guariti” sono resistenti ad una re-infezione con il virus? E sì, per quanto tempo? E come possiamo monitorare questo stato di immunità, sia a livello di specifiche aree geografiche che nel corso del tempo?
Il tutto tenendo presente che rispondere a queste domande ha delle implicazioni molto profonde al momento di scegliere la strategia sul come “riaprire” il sistema Italia (ma anche i sistemi USA, Francia, Spagna, etc). Perché è ovvio che questa “chiusura” dovrà finire abbastanza presto.
LO STUDIO.
Ieri è uscito su MedRxiv – una piattaforma online per studi non ancora “peer reviewed” – un interessante studio longitudinale di un gruppo cinese che cerca di rispondere ad alcune di queste domande studiando il sangue 80 soggetti guariti da COVID-19 (Lou et al., “Serology characteristics of SARS-CoV-2 infection since the exposure and post symptoms onset”). L’articolo ha indagato la cinetica temporale di anticorpi contro il virus SARS-CoV-2, che sono stati misurati usando tre forme di enzyme-linked immuno-sorbent assay (ELISA). Lo studio è linkato qui sotto, e questi sono il mio riassunto dei risultati e le mie conclusioni di commento.
IL RIASSUNTO DEI RISULTATI.
1. Il risultato centrale dello studio è che il livello di seroconversione in questi 80 soggetti è stato del 98.8% (79 pazienti su 80), con la positività al test rilevata ad una mediana di 15 giorni dal momento di esposizione al virus, e 9 giorni dall’inizio dei sintomi. Da notare, per completezza, che i controlli usati sono persone asintomatiche COVID-negative tampone, ma non persone infettate con uno dei coronavirus “benigni” (che probabilmente non sono facili da trovare).
2. Il secondo risultato importante è che il livello degli anticorpi nel siero dei pazienti in via di guarigione aumenta rapidamente a partire in media dal giorno-6 dopo l’inizio dei sintomi ed è strettamente associato al declino della carica virale. [Da notare che nello studio sono stati misurati non solo il titolo anticorpale totale, ma anche quello delle classi IgG ed IgM, con una sensitività nella prima settimana di malattia al 64.1%, 33.3% e 33.3% (rispettivamente) che poi sale al 100%, 96.7% e 93.3% dopo due settimane.]
3. Bisogna precisare che questo studio NON definisce la durata di questi anticorpi nel siero dei pazienti guariti (cosa per la quale occorre ovviamente più tempo), né dimostra “formalmente” che questi pazienti sono resistenti ad una re-infezione e/o che lo sono a causa di questi anticorpi – d’altronde per dimostrare questo ci vorrebbe un esperimento in cui a questi pazienti viene dato il virus, il che è eticamente inaccettabile.
LE CONCLUSIONI.
L’osservazione che quasi tutti i pazienti “guariti” hanno anticorpi contro il virus in quantità misurabile, e che la comparsa di questi anticorpi coincide con la scomparsa del virus è un dato forse non sorprendente, ma che comunque rappresenta un’ OTTIMA NOTIZIA. Questo perché tali dati supportano la possibilità che (i) la misurazione degli anticorpi contro SARS-CoV-2 possa identificare – a scopo di ricerca e monitoraggio epidemiologico – le persone che sono guarite dall’infezione, e che (ii) in questi pazienti la presenza di anticorpi anti-COVID-19 sia alla base del loro minimo rischio di re-infettarsi e/o ri-ammalarsi, come indicato dai dati clinico/laboratoristici disponibili al momento (anche se non conosciamo la durata di questa protezione).
Come già detto altre volte, solo la scienza – e per scienza intendo virologia, infettivologia, immunologia, epidemiologia, farmacologia, etc – può farci non solo superare questa drammatica crisi il più rapidamente possible e col minimo numero possible di vittime, ma può anche metterci in condizione di gestire in modo sicuro ed efficace la transizione “pandemiaendemia” che è necessaria per poter ritornare tutti alla nostra vita normale.
POST SCRIPTUM IMPORTANTE:
Per chi non lo sapesse, io scrivo questi post di notte, quando i miei familiari dormono, e rubando ore al riposo. Li scrivo, nonostante la stanchezza enorme che mi sento addosso, perché il momento è duro, e credo sinceramente che solo una BUONA INFORMAZIONE possa infondere SPERANZA ed OTTIMISMO ad una popolazione a cui vengono richiesti sacrifici enormi (e con risultati che tardano ad arrivare).
E’ una cosa che faccio volentieri, senza guadagnarci nulla se non la gratitudine di chi legge questa pagina. Però siccome il tempo è prezioso, e non posso dedicarlo a “moderare” la discussioni, da oggi in poi i commenti che: (i) spargono fake news, bufale, complottismi etc; (ii) fanno attacchi, accuse o insinuazioni gravi e gratuiti, saranno subito CANCELLATI ed i loro autori BANNATI da questa pagina.
Grazie a tutti per la comprensione. - Guido Silvestri
https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.03.23.20041707v1.full.pdf
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I FOTOGRAFI DI GUERRA E LA FOTOGRAFIA DI REPORTAGE
di Luigi Pasqualin
-- Durante la Grande Guerra, i soldati, i giornalisti e coloro che lavoravano per la mappatura dei teatri bellici ci hanno lasciato una quantità enorme di materiale fotografico. È bene ricordare che questi documenti, a differenza delle incalcolabili testimonianze orali a noi tramandate, e dell’altrettanto sterminata letteratura di guerra, hanno il pregio di essere immediatamente intellegibili dall’osservatore, e di immortalare situazioni e attimi di vita che altrimenti sarebbero stati destinati a perdersi.
Certo, per sua natura, la fotografia non può essere disgiunta dalle altre fonti storiche “dirette” e interpretative; degli scatti d’epoca vanno indagate le coordinate spaziali e temporali, e questi dati devono poi essere incrociati con le notizie che emergono dagli archivi, ma anche con i reperti e le osservazioni che possono essere state raccolte sui campi di battaglia.
Va tenuto in considerazione, inoltre, che l’uso degli apparecchi fotografici durante il primo conflitto mondiale fu massicciamente impiegato a fini divulgativi e propagandistici. Si può dire che i sacrifici che a loro tempo alcuni fotografi hanno offerto al loro soggetto – la guerra –, sono stati anche restituiti allo sviluppo della fotografia stessa. Un singolare scambio di favori.
Va anche sottolineato che durante il primo conflitto mondiale la censura incise sulla diffusione delle notizie a livelli mai raggiunti prima di allora.
I soldati
I soldati che allora utilizzavano macchine fotografiche non potevano inviare immagini giudicate sensibili, per non rivelare gli spostamenti delle truppe, o altri elementi che potessero nuocere allo svolgimento delle operazioni militari. Sappiamo che le crude scene delle trincee, con i loro caduti, non erano concesse: generalmente non era ammesso fotografare i cadaveri.
Praticamente, la stragrande maggioranza delle “concessioni” accordate al soldato in ambito fotografico erano ritratti personali e scene di vita collettiva con i commilitoni. Questi quadretti – attentamente vigilati – erano ovviamente concepiti allo scopo di rincuorare i familiari e le fidanzate, che, trepidanti, aspettavano notizie dei loro cari impegnati al fronte.
La maggior parte delle fotografie eseguite da soldati a noi pervenute, sono state scattate da individui che, oltre a possedere la disponibilità economica per l’acquisto di una macchina fotografica e della pellicola, avevano un livello di istruzione superiore alla media. Si trattava, per lo più, di graduati e ufficiali.
Alle reclute meno abbienti si rivolgevano invece dei fotografi militari professionisti, o comunque abilitati a lavorare all’interno delle singole unità, che, con il loro banco ottico, svolgevano la funzione di ritrattisti per coloro che volevano un ricordo del loro essere in divisa. Questi fotografi da trincea, per giunta, assolvevano senz’altro allo sviluppo del materiale dei fotografi dilettanti.
Va però ricordato un altro importante contributo che la fotografia ha dato alla formazione di tante persone operanti a vario titolo nel conflitto: molte di esse, infatti, continuarono a coltivare la passione dell’essere fotografi. Nasceva così il fotografo artigiano, che con la sua bottega proseguiva l’attività che aveva appreso nelle retrovie delle trincee e all’interno delle stesse. Una figura di appassionato che molti ricorderanno, ma che attualmente è stata fagocitata dalle nuove tecnologie.
Ci rimane qualche esempio di soldato che sfidò la ferrea legge della censura con dei veri e propri servizi fotografici di intensa drammaticità: la verità fu la prima vittima della Grande Guerra. Forse è una frase poco originale questa, ma che non vuole essere polemica, e che si può applicare a ogni genere di conflitto, non ultimi quelli attuali.
I giornalisti fotografi
Accanto alle figure già descritte, c’erano poi i fotografi di servizio ai giornali: coloro che con le fotografie supportavano i giornalisti di guerra.
Attualmente essi sono definiti reporter di guerra, con le solite definizioni anglosassoni che tanto piacciono oggi. Questi professionisti provvedevano a tenere informati coloro che restavano a casa. Dovevano essere per forza dei fotografi navigati: non è da tutti sintetizzare, con poche immagini, situazioni che dovevano far vivere nella fantasia di chi leggeva il giornale una cronaca succinta, un riassunto – per quanto possibile – esaustivo. I nomi di molti di essi, come vedremo, rimasero nella storia del giornalismo.
Anche loro, comunque, erano soggetti all’inflessibile censura imposta dallo Stato, comprensibilmente preoccupato da ciò che poteva essere deleterio per il morale dei cittadini e per lo svolgersi del conflitto.
Inoltre i giornalisti fotografi, come accade anche attualmente, erano sempre soggetti al modus operandi, vale a dire alla linea editoriale, che imponeva loro la testata per cui lavoravano.
I fotografi militari
Esistevano poi dei fotografi legati alle operazioni militari, essi erano inquadrati a tutti gli effetti come combattenti.
La fotografia, innegabilmente, ebbe un peso non certo secondario nel conflitto. Ricognitori si alzavano in volo ogni giorno e la mole di fotografie delle zone operative era impressionante; migliaia e migliaia di immagini che arrivavano sul tavolo dello stato maggiore per dare indicazioni sugli spostamenti del nemico sul terreno. Visioni dall’alto delle postazioni avversarie e della loro collocazione davano indicazioni di vitale importanza per lo svolgersi delle operazioni belliche. Praticamente, quelli da ricognizione erano sempre aerei biposto; nella tipologia dei ricognitori italiani, quindi, oltre al pilota, era sistemato anche un fotografo. La macchina era discretamente pesante, non dissimile ad un banco ottico, chiaramente senza treppiede e senza telo. Ci furono anche curiose applicazioni della fotografia di ricognizione: presso il nostro Museo della Terza Armata, le guide si divertono a descrivere ai visitatori un singolare utilizzo dell’apparecchio fotografico... vale la pena ricordare che durante la Grande Guerra, pure il piccione svolgeva mansioni di fotografo, l’ingegno degli strateghi, pose al petto del pennuto, un minuscolo apparecchio fotografico che scattava foto del campo di battaglia.
Infine, vorrei spendere due parole su un personaggio per niente secondario ai fini del conflitto. Esattamente l’allora Re d’Italia Vittorio Emanuele III (1869-1947). Nelle non rare volte in cui il monarca seguiva personalmente le operazioni dell’esercito italiano, era solito uscire in auto al mattino presto. Le cronache ci dicono che non abbandonasse mai la sua macchina fotografica, ma non ho reperito notizie sul soggetto delle sue foto, e nemmeno sulla loro esistenza. Come molti fotografi amatoriali, penso comunque che qualche volta si sia pure dimenticato di allacciare la pellicola e che molti scatti siano andati perduti.
L’apparecchio fotografico più famoso e la sua storia
Indubbiamente, molti apparecchi fotografici (professionali e non) furono usati dai vari eserciti nel primo conflitto mondiale. Per non appesantire questo breve saggio, che non vuole essere eccessivamente tecnico, ci soffermeremo solo sulla macchina fotografica più famosa in assoluto: la Kodak Pocket, talmente nota da venire apostrofata come «la macchina fotografica del soldato»; vari esemplari sono presenti in importanti musei, quali il Nicolis di Verona.
Ecco il contenuto della réclame del distributore italiano della Kodak di quel tempo (una società milanese con recapito anche a Venezia, in Piazza San Marco 52):
Nel 1915, questo genere di pubblicità apparve anche su diversi periodici, ad esempio l’Illustrazione Italiana e La Domenica del Corriere: la tipologia del messaggio era la medesima, cambiavano l’impostazione e le foto di contorno al trafiletto.
Riguardo al prodotto, si trattava di un apparecchio abbastanza robusto (dato l’uso a cui era destinato), delle cui caratteristiche – già in pubblicità – l’acquirente poteva subito rendersi conto.
La macchina fotografica pubblicizzata: Vest Pocket Kodak prodotta in U.S.A. (1912-1926)
Robert Capa
Nella prima parte di quest’articolo è stato ribadito che alcuni giornalisti-fotografi sono rimasti nella storia; gettando uno sguardo oltre la Grande Guerra, questo paragrafo sarà dedicato all’imprescindibile Robert Capa, forse il più famoso in assoluto.
Il suo vero nome era Endre Ernő Friedmann, nacque a Budapest, il 22 ottobre 1913, e morì nel Vietnam, il 25 maggio 1954.
Capa rese testimonianza di 5 diversi conflitti: la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (dal 1938), la seconda guerra mondiale, la guerra arabo-israeliana del 1948 e la prima guerra di Indocina, nel 1954.
Molte delle sue fotografie sono impresse nella “memoria collettiva” di chi si interessa degli eventi storici citati; diversi suoi scatti sono stati criticati e considerati controversi – basti pensare alla foto del miliziano colpito a morte nella guerra di Spagna, che ancora fa discutere.
Memorabile è il suo racconto fotografico del D-Day, di cui si può fornire un riassunto, allo scopo di esemplificare quelli che sono i problemi del fotografo di guerra.
- 6 giugno 1944: il Nostro sbarca all’alba con le truppe alleate sulla spiaggia di Omaha Beach, la località che, in codice, indica il tratto di costa in Normandia scelto per l’operazione. Le parole di Capa1 rievocano «I soldati immersi fino alla cintola, i moschetti pronti a sparare, le difese d’acqua anti-invasione e la spiaggia avvolta dal fumo». Per sua esplicita ammissione, Capa (che non era il solo fotografo presente allo sbarco), in preda a quella che lui stesso ammette essere paura, comincia a scattare non appena la sua Contax è in grado di lavorare con quella luce.
Le foto furono pubblicate dal mensile Life il 19 giugno successivo; su sette pagine il sottotitolo recitava: «La fatidica battaglia per l’Europa è cominciata via mare ed aria». Dei 4 rullini di 36 pose originariamente scattate dal fotografo, solo 11 foto si salvarono: un maldestro uso della camera oscura da parte del personale del giornale distrusse il frutto di ansie e paure. Oggi, di quelle foto ne rimangono soltanto 8, conservate presso l’I.C.P. (International Centre of Photography).
Lo stesso Capa, parlando del suo mestiere, giudicò: «Se le foto non sono abbastanza buone, non eri abbastanza vicino».
Scomparve nel 1954 a Tay Ninh, in Vietnam, caduto vittima di una mina, mentre cercava di andare più vicino.
Nel 1947, insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert aveva fondato l’agenzia Magnum.
�� Robert Capa, Sbarco in Nomandia, operazione Smoke Screen del 6 giugno 1944
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Fonti
Per la consultazione di fotografie ringrazio il Museo della Terza Armata di Padova, che è anche l’Editore della presente pubblicazione.
Il Museo dà la possibilità di visionare un immenso materiale fotografico e filmati d’epoca, il tutto è fruibile ai visitatori anche dai totem sistemati al pian terreno e al piano nobile. Ricordo che l’ente possiede anche una biblioteca non indifferente con testi a stampa e documenti relativi alla Grande Guerra e al secondo conflitto mondiale, consultabili su richiesta.
Va citato anche un volume divulgativo prodotto della Provincia di Treviso: Comune di Treviso, Assessorato della Cultura, Guida alla mostra fotografica “Fotografare la Grande Guerra”. Per una conoscenza del Patrimonio di fotografie e attrezzature dei Fondi Fotografici veneti, F.A.S.T: Foto Archivio Storico Trevigiano, 2001.
Robert Capa, Slightly Out of Focus, New York, Modern Library War, 2001
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La Redazione di Fotopadova ringrazia l’Autore nonché l’Associazione Culturale Amici del Museo Storico della Terza Armata (via Altinate 59a Padova) di averci dato la possibilità di presentare in anteprima questo saggio che apparirà poi a fine 2021 nella pubblicazione-strenna annuale destinata ai Soci dell’Associazione stessa.
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